Rosticceria

Rosticceria tipica messinese

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L'arancino (in siciliano arancinu o arancina) è una specialità della cucina siciliana.


Come tale, è stato ufficialmente riconosciuta e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di di riso".


Si tratta di una palla o di un cono di riso impanato e fritto, del diametro di 8-10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cotto e mozzarella.


Il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma va detto che nella Sicilia orientale gli arancini hanno più spesso una forma conica.


Nella parte occidentale dell'isola questa specialità è conosciuta come "arancina",

mentre nella parte orientale è chiamata "arancino".

Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indicata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell'arancio, l'arancia appunto, che in lingua italiana è al femminile.


Tuttavia, in siciliano la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l'arancia viene detta arànciu. Pertanto, in siciliano il nome di questa pietanza è originariamente al maschile (arancinu), come testimoniato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemmaarancinu, scrive: "[...] dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Il termine della lingua italiana arancino deriverebbe dal siciliano arancinu.


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Alcune delle nostre specialità


  • Arancino (in siciliano arancinu o arancina)
  • Pidone (in siciliano pituni)
  • Mozzarella in carrozza (in siciliano muzzarella)
  • Focaccia messinese
  • Schiacciata messinese
  • Sfingi di riso (in siciliano sfinciuni)
  • Balò di ricotta

Storia


Arancini dalla zona di Messina a forma conica. Le origini dell'arancino sono molto discusse. Essendo un prodotto popolare risulta difficile trovare un riferimento di qualche tipo su fonti storiche che possano chiarire con esattezza quali le origini e quali i processi che hanno portato al prodotto odierno con tutte le sue varianti. In assenza di fonti specifiche, quindi, alcuni autori si sono cimentati nell'immaginarne le origini a partire dall'analisi degli ingredienti che costituiscono la pietanza.
Così, per via della presenza costante dello zafferano, se ne è supposta un'origine alto-medioevale, in particolare legato al periodo della dominazione musulmana, epoca in cui sarebbe stato introdotto nell'isola l'usanza di consumare riso e zafferano condito con erbe e carne.
L'invenzione della panatura nella tradizione a sua volta viene spesso fatta risalire alla corte di Federico II di Svevia, quando si cercava un modo per recare con sé la pietanza in viaggi e battute di caccia. La panatura croccante, infatti, assicurava un'ottima conservazione del riso e del condimento, oltre ad una migliore trasportabilità.
Può darsi quindi che, inizialmente, l'arancino si sia caratterizzato come cibo da asporto, possibilmente anche per il lavoro in campagna.
Non mancano piuttosto le fonti relative al termine, arancinu, la cui più antica pare essereil Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino di Michele Pasqualino edito a Palermo nel 1785, in cui è riportato alla voce corrispondente "del colore della melarancia, rancio, croceus".
Curiosamente, poco oltre il Pasqualino riporta che il termine arancia era riferito all'albero dicitrus × aurantium, mentre aranciu al suo frutto, contrariamente a come avviene nella lingua italiana.
Da questa edizione fino alla metà del XIX secolo il lemma arancinu indicava prevalentemente un tipo di colore. La prima documentazione scritta che parli esplicitamente dell'arancinu in qualità di pietanza è il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi, il quale testimonia la presenza di "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia".

  • Continua a leggere

    Questo dato può indurre a credere che l'arancino nascesse come dolce, presumibilmente durante le festività in onore di santa Lucia, e solo in seguito divenisse una pietanza salata.

    siano datati al 1852, cinque anni prima l'edizione del Biundi: la diffusione di tale ortaggio e il suo uso massiccio nella gastronomia siciliana si deve ipotizzare sia successiva a tale data e - verosimilmente - nel 1857 non era ancora divenuto parte dell'arancino.

    L'assenza di riferimenti precedenti al Biundi potrebbe in realtà essere indice di una relativa "modernità" del prodotto, certamente comunque nella sua versione salata.

    Sulla origine della versione dolce pure permangono notevoli dubbi: l'accostamento con santa Lucia e i prodotti tipici legati ai suoi festeggiamenti apre diverse possibilità di interpretazione. A Siracusa, secondo la tradizione, nel 1646 approdò una nave carica di grano che pose fine ad una grave carestia, evento ricordato con la creazione della cuccìa, un prodotto a base di chicchi di grano non macinato, miele e ricotta. Non è impensabile quindi che i primi arancini dolci siano una versione da trasporto della stessa cuccìa.

    In merito al legame tra i due prodotti e i festeggiamenti luciani, ancora oggi il 13 dicembre di ogni anno, è tradizione palermitana quanto trapanese, festeggiare il giorno di santa Lucia, in cui ci si astiene dal consumare cibi a base di farina, mangiando arancini (di ogni tipo, forma e dimensione) e cuccìa.


  • Nella cultura di massa

    L'arancino è considerato dai siciliani il prodotto di rosticceria più caratteristico della propria regione e quasi tutte le grandi città ne rivendicano la paternità. Questo atteggiamento fortemente campanilistico ha spesso acceso discussioni che oggi si sono diffuse a livello popolare anche grazie ai canali virtuali di discussione sociale come blog, forum e altre forme di social network. In particolare, nel comprensorio catanese si sostiene che la forma a cono si debba ad una ispirazione data dall'Etna: infatti tagliandone la punta esce dall'arancino il vapore che ricorderebbe il fumo del vulcano, mentre la superficie croccante della panatura e il rosso del contenuto ne rievocherebbero la lava nei suoi due stadi, calda e fredda. Sempre nel catanese, la forma a palla del prodotto ha generato un accostamento con le persone corpulente, definite con tono di scherno arancinu che' peri (arancino con i piedi, ossia arancino che cammina), per indicare una persona particolarmente rotonda.

    Nella letteratura appaiono diversi riferimenti a questo prodotto gastronomico.

    Il personaggio dei romanzi di Andrea Camilleri, il commissario Montalbano, nella finzione letteraria noto estimatore di questo piatto, è forse il più popolare tra essi e uno dei racconti dell'autore siciliano è persino intitolato Gli arancini di Montalbano e quasi per intero dedicato alla passione del commissario per tale pietanza.


  • Tipologie

    Questo dato può indurre a credere che l'arancino nascesse come dolce, presumibilmente durante le festività in onore di santa Lucia, e solo in seguito divenisse una pietanza salata.

    siano datati al 1852, cinque anni prima l'edizione del Biundi: la diffusione di tale ortaggio e il suo uso massiccio nella gastronomia siciliana si deve ipotizzare sia successiva a tale data e - verosimilmente - nel 1857 non era ancora divenuto parte dell'arancino.

    L'assenza di riferimenti precedenti al Biundi potrebbe in realtà essere indice di una relativa "modernità" del prodotto, certamente comunque nella sua versione salata.

    Sulla origine della versione dolce pure permangono notevoli dubbi: l'accostamento con santa Lucia e i prodotti tipici legati ai suoi festeggiamenti apre diverse possibilità di interpretazione. A Siracusa, secondo la tradizione, nel 1646 approdò una nave carica di grano che pose fine ad una grave carestia, evento ricordato con la creazione della cuccìa, un prodotto a base di chicchi di grano non macinato, miele e ricotta. Non è impensabile quindi che i primi arancini dolci siano una versione da trasporto della stessa cuccìa.

    In merito al legame tra i due prodotti e i festeggiamenti luciani, ancora oggi il 13 dicembre di ogni anno, è tradizione palermitana quanto trapanese, festeggiare il giorno di santa Lucia, in cui ci si astiene dal consumare cibi a base di farina, mangiando arancini (di ogni tipo, forma e dimensione) e cuccìa.


Oltre 40 tipi di arancini per tutti i palati!


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Mozzarella in carrozza


La mozzarella in carrozza è un famoso piatto tipico della cucina partenopea che pian piano è entrato a far parte della tradizione gastronomica di tutta Italia.

Nata nei primi anni dell’Ottocento nel regno delle Due Sicilie, ai tempi di Re Ferdinando II come piatto povero, di “riciclo”, del pane raffermo e della mozzarella ormai vecchia, nasce quasi sicuramente ispirandosi ai primi 7 km di ferrovia che vennero costruiti nel 1839.



In Carrozza, cioè racchiusa tra le due fette di pane che stanno a rappresentare il cocchio, è oggigiorno divenuta un piatto standardizzato, da “Rosticcerie” ma anche un piatto rinomato servito nei migliori ristoranti, anche se ovviamente gli ingredienti non son più quelli poveri e di recupero d’un tempo, ma ben si materie prime di ottima qualità.

Focaccia messinese


La focaccia messinese (o focaccia alla messinese, così chiamata nei comuni limitrofi ove non è natìa e quindi solo rassomigliante) è una specialità tipica della gastronomia messinese.

La sua preparazione è molto comune nella città e meno nella provincia di Messina: essa si caratterizza per un impasto alto, soffice, che si cucina in forno a legna in grandi teglie. Tradizionalmente è ricoperta di scarola, pomodoro a pezzi e formaggio (in genere tuma, anche se negli ultimi anni è usata anche la mozzarella).

Condivide gran parte degli ingredienti con il pitone messinese, noto prodotto della rosticceria locale.

Sia la pasta, sia lo spessore, differiscono significativamente rispetto a quelli di una normale pizza.

Le origini del prodotto, che verosimilmente all'inizio non prevedeva l'utilizzo del pomodoro, sono probabilmente più risalenti, ma si ritiene che la ricetta abbia iniziato ad acquistare una sua fisionomia all'inizio del Novecento, per poi essere stabilizzata dai panificatori messine si all'inizio del secondo dopoguerra, nella forma in cui la conosciamo oggi.

Il prodotto è comunemente presente in tutti i panifici e le rosticcerie di Messina e molto meno in quelli della sua provincia, oltre a conoscere una discreta diffusione anche nel resto della Sicilia orientale dove però la ricetta si discosta dal prodotto tipico messinese.

Nella zona dei Nebrodi, in luogo della tuma o della mozzarella, è spesso utilizzata la provola locale, che costituisce un presidio slow food.

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